28 feb 2013

Gnaso


Venendo da una scuola attrezzata al meglio per il tempo, e dove si incominciava a parlare di computer che facevano i disegni in tridimensionale, mi sembrava di ritornare ai vecchi tempi.
Con questo non voglio dire che tutti gli artigiani del paese erano rimasti, come si direbbe, un po' indietro, ma era una caratteristica accentuata di mio zio un pochino tanto “tiratelo” nelle spese e per il motivo che essendo pensionato non doveva sottostare agli obblighi di legge.
A dire il vero anche da bambino piccolo la mia mamma, quando ci aveva da fare, mi portava a passare qualche ora ogni tanto in bottega dal mio zio e mi ricordo che la bottega era comunque sempre organizzata in questa maniera, anche se al tempo dei miei ricordi fanciulleschi il mestiere lo professava d'artigiano in piena regola.
mio zio Giuseppe Del Sere detto"Gnaso" nella sua bottega
A parte l'ambiente molto pittoresco, il rapporto di bottega era vivibile anche se non mancavano da parte del mio precettore i confronti con la formazione scolastica, dove si lavorava con mezzi più moderni. Era solito dirmi che tutti i somari sono buoni a lavorare con le macchine. Infatti il lavoro manuale era l'elemento predominante, per forza di cose, di bottega, così imparai a segare con la sega a telaio, a piallare con il piallone e a usare i mezzi manuali di quotidiana amministrazione.
Questo non bastava comunque a farmi rivalere sulla mia provenienza da quella scuola che come ho già accennato non era ben vista né dagli artigiani né da una parte di abitanti di Anghiari, i quali consideravano questa istituzione una alternativa per ragazzi poco inclini allo studio. Insomma una soluzione di ripiego rispetto a scuole più difficoltose. Anche se mio zio era critico con la formazione scolastica, quando aprii bottega per conto mio, si ricredette nei miei confronti;in fondo io conoscevo il disegno e lui no. Questo era il valore aggiunto che la natura mi aveva dato, ma gli riusciva difficile tener conto della maggiore scientificità e completezza che una formazione scolastica ti poteva dare.


Mi ricordo la sua (e la mia) giornata tipo: lui si alzava la mattina alle sette, io alle otto per essere lì mezzora dopo, e appena arrivato prendevo sempre del fannullone. Incominciavo a fare qualcosa sempre attento a non farmi troppo vedere, perché lui controllava qualunque movimento stando bene attento a misurare i prodotti per il restauro senza sprechi eccessivi, altrimenti erano brontoli.
Si andava avanti fino alle nove e mezza. A quell'ora mio zio andava a casa a fare colazione per una mezz'oretta, ed io rimanevo solo in bottega potendo lavorare almeno più tranquillamente, senza troppi sguardi di controllo. A mezzo dì o poco più pausa pranzo; si ricominciava alle due e mezza.
Nel pomeriggio era prevista un'altra piccola sosta di una mezz'oretta: si andava a prendere la spuma, che era un tipo di bitter analcolico di colore rosso o bianco frizzante. 
Sicuramente, quando era più giovane,  mio zio al posto della spuma beveva il vino, ma viste le sue condizioni di fegato “tormentato” gli toccò ripiegare in questo liquido che rassomigliava per colore al vecchio nettare degli dei ma ahimè di sapore insignificante.
Questo era lo scandire del tempo di tutti i santissimi giorni nella bottega, come si fosse in un convento.
capoletto intagliato di Rinaldo Pasquetti detto "cannone"
Comunque le storie me ne ha raccontate molte: si parlava degli artigiani di Anghiari, chi era bravo, chi meno, ma non aveva mai avuto problemi con nessuno.Mi raccontava del Borghesi che era un bravo intarsiatore. Il motivo delle sue capacità in questa tecnica derivavano per i suoi studi di autodidatta sulle materie artistiche, in confronto alla materia dove si era diplomato la ragioneria. Il Borghesi insieme ad Ernesto suo cognato erano in società, uno lavorava di fino e l'altro in modo grossolano, quindi uno faceva la cassa del mobile e uno la intarsiava.
E poi di “Cannone,” al secolo Rinaldo Pasquetti, che era un bravo intagliatore, un “fenomeno”, a detta di mio zio, e dalla sua bottega era uscito il Dragonetti, detto carlumino, che era sicuramente il più capace restauratore del paese. Usciva qualche malignità bonaria come su quelli poco dotati che erano finiti a fare l'insegnante a scuola oppure degli artigiani un po' scansafatiche come Loris che aveva poca voglia di lavorare.
Mi parlava di un certo Frini che aveva la segheria, se non mi ricordo male, situata dove c'è adesso un albergo in piazza dei polli di fronte al Teatro, dove erano passati molti apprendisti artigiani dell'epoca di Gnaso.
Mi parlava del rapporto di stima con il suo “datore” di lavoro Milton Poggini, antiquario e precedentemente artigiano premiato a Parigi per aver costruito un bel violino, delle novità tecniche che riportava dalla Francia durante le sue escursioni, penso che fossero novità commerciali sui prodotti ed anche sui segreti inerenti al restauro dei mobili.
Comunque tra un racconto e l'altro, quante cose ho imparato! Dalla lucidatura all'invecchiamento del mobile e a tante altre cose, anche il riuscire a non sprecare materiali e la modestia per potersi mettere sempre in discussione con il prossimo, che solamente la bottega di un vero artigiano ti poteva insegnare. Per onestà devo dire che l'esperienza di bottega da Gnaso mi è servita e mi serve ancora.


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