27 mar 2021

Un paese, una scuola, l'artigianato, la storia autobiografica di un restauratore ebanista






MASTRO SANTI DEL SERE

Maestro Artigiano Bottega scuola 



Un paese, una scuola, l'artigianato, la storia autobiografica e documentativa dei lavori eseguiti da i miei primi  quarant'anni di  restauratore ebanista.

Incipit

dipinto su tela collezione privata
New York USA
 

L’autoritratto, è una specie di sintesi da dove è passata la mia vita dalla nascita alla formazione. Il dipinto rappresenta uno scorcio della piazza di S. Agostino, l’attuale piazza Mameli, da un ipotetico punto di vista dal Palazzo del Marzocco,  che al momento della mia nascita nelle soffitte del palazzo, era alquanto fatiscente, adesso è sede del museo dedicato alla Battaglia di Anghiari nota per l'"affresco" mai realizzato da Leonardo nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze . Nel quadro sullo sfondo si intravede, l’odierno Museo Taglieschi che fino alla fine degli anni 50 era adibito a case popolari, dove la mia nonna materna risiedeva, e da piccolo, per la mia già comprovata agitazione, caddi dentro un camino fortunatamente quasi spento, ancora ne porto i segni sulla fronte. Accanto alla piazza c’è la sede L’istituto Statale d’Arte che ho frequentato per dieci anni tre anni di medie, sei di superiori, compresa la bocciatura, e infine un anno da docente. 

Infine la mia raffigurazione,  con il copricapo il mazzocchio, simbolo  dei maestri di prospettiva del quattrocento; i ferri da intagliatore e il dodecaedro uno dei cinque solidi platonici. 

Strana combinazione, in questo scorcio di  "Piazza cazzotti", come la chiamavano i vecchi anghiaresi, mi dettero le autorità locali e provinciali il primo riconoscimento nella Provincia di Arezzo di Maestro Artigiano.



prefazione

Da ragazzo quando frequentavo da allievo la scuola d'arte ci insegnavano il metodo e l'importanza della documentazione grafica su oggetti che dovevamo restaurare o ricostruire tramite copia filologica.

Alcuni anni dopo ho avuto il piacere di fare l'esperienza nella mia Scuola d'Arte del mio paese, d'insegnante di intarsio che, per un solo anno scolastico, mi ha fatto capire quanto è importante la formazione.

Finita "forzatamente"la professione di mancato insegnante ho costruito piano piano,  la mia bottega come artigiano. Il mondo dell'artigianato mi ha fatto capire le difficoltà che trova un ragazzo a conoscere i segreti del mestiere che gli artigiani nascondono gelosamente, frutto di anni di lavoro, che per paura di perdere quel potere e valore della propria conoscenza celano.

Mi ritengo un Artigiano che ragiona completamente all'inverso della mentalità dei vecchi artigiani, in molti casi anche dei nuovi, forse è per questo che sono stato riconosciuto Maestro Artigiano e Bottega Scuola.

Per me è normale e di soddisfazione personale, tramandare i segreti del saper fare  di una vita passata in bottega.  La mia curiosità ha cercato sempre la conoscenza, il confronto  con altre realtà fuori dal mio paese.

 Queste l'esperienze di restauro mi gratificano e mi piace divulgarle e in molti casi condividerle, anche se ogni artigiano ha la sua, ricetta. 

Ecco perché provo a scrivere e documentare le mie esperienze di restauri estetici o come molti chiamano commerciali, su oggetti in cui ho operato in anni di attività nella mia bottega, sperando di aiutare giovani che vogliono affrontare questo bellissimo lavoro e non perdere la conoscenza acquisita in anni di divertente lavoro.


Come nasce un restauratore ebanista


Sicuramente la storia che lega il restauro del mobile ha questo ultimo spicchio di terra toscana, viene da un commercio fiorente,  che ebbe il suo risveglio a partire dagli anni 50 del secolo scorso . In quel periodo di rinascita dell'economia,  passavano registi, attrici famose e persone facoltose, che acquistavano mobili antichi, nelle gallerie di antiquariato del mio paese, Anghiari.

L’antiquario Milton Poggini  con l’attrice Claudia Cardinale ad Anghiari anni 60'

Questo piccolo paese toscano collocato tra i confini dell'Umbria, della Romagna e delle Marche è stato fra i primi in Italia a conoscere e sviluppare il commercio dell'antiquariato del mobile. 

I falegnami del posto si sono trovati a cambiare la loro mentalità di legnaioli verso quella di stipettai restauratori. Gli artigiani anghiaresi praticando i restauri su mobili originali di notevole fattura, sono venuti a conoscenza delle tecniche di costruzione e decorazione, che sono stati da insegnamento e apprendimento, acquisendo una conoscenza tecnica ed estetica gratuita. 

La realtà dell'antiquariato fece nascere ad Anghiari nei primi anni '60 l'Istituto Statale d'Arte per il Restauro del Mobile antico, che ha dato agli allievi una impostazione e una sensibilità più approfondita e scientifica sulle tecniche di costruzione e decorazione finalizzate al restauro ligneo, in particolare del mobile antico.

Io sono figlio di questo contesto, e per una serie di combinazioni, forse meglio dire di un percorso formativo, sono diventato un restauratore ed un ebanista.

Il laboratorio d’intaglio dell’Istituto d’Arte negli anni 90

Il mio cammino parte dalle scuole elementari il mio maestro Mario Tavanti, mi indicò di frequentare le medie  annesse all'Istituto d'Arte perché ero dotato , o come si dice dalle nostre parti portato, per il disegno.

Finite le scuole medie mi iscrissi all'Istituto d'Arte che mi ha introdotto e iniziato hai primi approcci sulla scultura, e alle discipline delle arti decorative finalizzate al restauro. Dopo sei anni mi diplomai. 


In quel periodo storico l'artigianato locale viveva molto sul restauro del mobile, mio zio Giuseppe Del Sere soprannominato Gnaso, restauratore di mobili, lavorava in un fondo adibito da bottega dove restaurava mobili per l’antiquario Poggini  e gli dissi se potevo frequentare la sua bottega per imparare il mestiere. 

L'esperienza durò pochi mesi, ma imparai più in sei mesi trascorsi in bottega  con mio zio, che in sei anni di scuola.

Copie di mobili realizzati nella sua bottega da mio zio Gnaso

Mio zio Gnaso mi "invitò"a mettere su bottega per conto mio e misi in piedi in quattro metri quadri, la mia officina dove praticavo l'intaglio e qualche piccolo restauro su mobili.

Intanto feci domanda per l'insegnamento come supplente nelle Scuole d'Arte di Sansepolcro ed Anghiari. 

Il colpo di fortuna, arrivò, fui nominato dal provveditorato come supplente insegnante di cattedra di intarsio nella mia scuola, mi trovai di sobbalzo dalle "stalle alle stelle".

L'intarsio era una disciplina da me odiata quando frequentavo da allievo la scuola, per il motivo che le doti più importanti richieste per intarsiare sono la pazienza e la grande precisione, qualità che possedevo ma avendo un carattere incostante, che mi obbliga a cambiare spesso il lavoro, per non perdere la concentrazione, non era compatibile nelle lezioni di tarsia.

Il mio interesse e le mie attitudini erano più rivolte alla disciplina dell'intaglio, l'importante è che non fossero lavori ripetitivi. 

Mi trovai ad insegnare qualcosa per cui non ero adeguatamente preparato. 

Le varie tecniche, la storia, i segreti non le conoscevo mi misi a studiare e con il supporto di qualche libro, interpellando mio zio e osservando gli artigiani del posto, ebbi alcune informazioni valide per trasmettere ai ragazzi durante le lezioni di intarsio.


Questa tecnica, la scoprii più approfonditamente dopo il periodo da insegnante studiandomela da autodidatta. Adesso è diventata la disciplina più importante della mia bottega.

Finita amaramente, l'esperienza d'insegnante mi ritrovai nella mia stanza adibita da bottega.Decisi di iscrivermi come artigiano, visto  che la via dell'insegnante era oramai definitivamente compromessa .

Avevo la  fortuna di avere la bottega a disposizione del mio povero babbo Laurino, che in quella fucina ci ha lasciato la vita alla giovane età di trentatré anni, e grazie alla comprensione di mia mamma Edmonda e dei miei fratelli Annibale e Walter,  mi fecero usare la bottega. Quindi nel 89 cominciai la mia carriera di artigiano, con il nome altisonante di Mastro Santi 

Alcuni anghiaresi storcevano il naso per il titolo di mastro che avevo dato alla mia Bottega. Quel piccolo periodo passato come insegnante mi ha fatto capire le mie inclinazioni verso l'insegnamento. 

I primi restauri commissionatomi dall'antiquario 
Loris Calli, nel piccolo capanno adibito a laboratorio, dove avevo come utensili tecnologici una mola e un trapano elettrico comprato a debito, alcuni utensili comuni e ferri da intagliatore.




Mi accorsi, durante la mia esperienza da insegnante, della scollatura tra mondo della scuola e artigianato a riguardo della preparazione e il tramandare del saper fare propri della bottega artigiana. Necessitava di operatori qualificati. 
Il progetto doveva costruire un percorso di corsi di aggiornamento per gli artigiani, un marchio di qualità finalizzato alla promozione del territorio, degli artigiani restauratori e della Scuola d'Arte di Anghiari unica in Italia specializzata nel restauro del mobile antico. 
Per attuare il progetto si costituì un Associazione con il nome Centro Tecnologico del Restauro. L'associazione venne riconosciuta dalla Camera di Commercio di Arezzo e  dalla Provincia di Arezzo.



Durante una visita di piacere visitando Duomo di Pienza, notai una formella intarsiata, dove presi lo spunto, per creare il marchio di qualità, che mi era stato incaricato di realizzare per il Centro Tecnologico di Restauro





Il marchio di qualità rielaborato dal designer Luca Paci, collaboratore ed insegnante nei corsi di aggiornamento promossi dal CTR








Si programmarono dei corsi prima di aggiornamento per gli artigiani dove si pubblicò il documento sul restauro, denominato "LA CARTA DI ANGHIARI". Il regolamento che scrivemmo fu discusso con gran favore dalla Soprintendente A.M. Maetzke, in un corso di aggiornamento nel lontano 1994; adesso pubblicato in vari siti internet importanti che, propongono corsi sulle varie discipline legate al restauro dei manufatti lignei e preso da esempio su come intervenire su  restauri riguardanti il settore degli arredi lignei. Negli anni successivi in collaborazione con il lungimirante Preside dell'Istituto d'Arte prof. Benito Carletti si istituirono dei corsi importanti per creare figure professionali pronte ad inserirsi nel difficile campo del settore del restauro.


Personalmente  consigliavo hai miei colleghi artigiani di confrontarsi con realtà più importanti, conoscere e farsi aggiornare da restauratori qualificati, che operavano fuori dal nostro territorio. Mi accorsi che per diventare un buon Maestro artigiano restauratore bisognava dargli  un ulteriore percorso formativo post diploma, con corsi di aggiornamento invitando ad insegnarci, maestri artigiani , storici dell’arte e docenti  del settore della ricerca  scientifica inerenti alle varie discipline teoriche  e pratiche sul restauro di qualità.

Le mie riflessioni sul mio percorso acerbo da restauratore, le osservai e le condivisi con l'allora Sindaco Maddalena Senesi e all'Assessore alla cultura e al turismo Claudio Cioni, del Comune di Anghiari.

Le discipline che  venivano insegnate come: il rilievo professionale, la geometria, il disegno, la modellazione,  le materie culturali , fuori che la lingua straniera e tutte le cinque discipline legate alla lavorazione del legno . Questa formazione dava, per quanto riguardava un primo percorso didattico, una preparazione propedeutica, per avvicinare  il ragazzo a far scattare un provabile interesse e per una possibile attività futura di restauratore. La mia esperienza dopo scolastica e l'impatto con la realtà,  mi fece capire le difficoltà  che ci sono per aprire bottega e inserirsi nel mondo del lavoro, specialmente quello del restauro, che L' Istituto d'Arte aveva un percorso didattico completo. 

Il primo approccio al restauro.

Alla giovane età di 16 anni frequentando i primi anni della Scuola d'Arte del mio paese, mi incaricò il prof. di restauro G. Giuliani, di restaurare una poltrona del cinquecento in noce.  La sedia era intagliata e mancavano alcune formelle e frammenti intagliati da ricostruire, e traballava pericolosamente. Una caratteristica unica dell'Istituto era quello di mettere mano su oggetti originali.

Sedia attualmente conservata nel Museo 
Statale di Palazzo Taglieschi, Anghiari
Il restauro mi fu affidato, vista la mia predisposizione per il disegno e l'intaglio, francamente ero completamente digiuno ma voglioso dimettermi in gioco. 
Prima di mettere mano agli interventi pratici di restauro, era obbligatorio fare il rilievo professionale, in scala reale su carta e poi su lucido a china  e le foto per documentare lo stato di conservazione dell'oggetto.
Fatti i rilievi si passava all'intervento vero e proprio. La prima operazione riguardò la ricostruzione in legno di noce di una parte mancante, di una cartella dello schienale intagliata e dorata a conchiglia e di alcune reintegrazioni della struttura. 
Era la prima volta che usavo una sega elettrica a nastro, ed ero molto timoroso, ma con la dovuta calma e suggerimenti da parte del docente di restauro, preparai la mia formella di legno che successivamente venne intagliata nella sezione dell'intaglio con gli aiuti magistrali del prof. Alfiero Coleschi. 
Un'altra caratteristica di questo Istituto unico in Italia era, che nel piano didattico si comprendevano tutte le discipline, dalla costruzione del mobile all'intarsio, l'intaglio, alla laccatura e doratura, tutte materie finalizzate al restauro del mobile antico. Imparai o meglio dire iniziai a conoscere i primi prodotti che si usavano per il restauro.

La colla da falegname

Il prodotto che mi colpi di più, per il cattivo odore che emanava, era la colla a caldo, o colla forte da falegname. Questo tipi di odori mi rimandano a ricordi di quando ero bambino, che girovagavo nel centro storico di Anghiari. Sotto il “cassero” c’era la bottega di falegnameria di “Arnese”, babbo del mio insegnante di ebanisteria Vitruvio Giorni. La fotografia impressa nella mia memoria è quella di una persona grossa e vestita di nero. Il falegname riscaldava, con un fornello a legna  questo intruglio, e visto la nostra curiosità da bambini ci adoperava, come gioco, per girare il composto fino a completo scioglimento. 


Si immergeva la colla in perline in acqua fredda per 8/10 ore, in un pentolino. Le proporzioni erano di  una parte di colla su sei parti di acqua. Il composto si gonfiava e veniva riscaldato con un fornellino elettrico a bagnomaria sino a completo scioglimento.  
Preparata la colla si incollavano le parti molto velocemente sennò la colla diventava gelatinosa e perdeva il potere di coesione. 
Questa operazione per un principiante era abbastanza complessa dovevamo essere veloci di metter gli adeguati morsetti oppure delle molle per stringere opportunamente le reintegrazioni.
Dopo l'avvenuto incollaggio della struttura e delle ricostruzioni si passava alla stuccatura con stucco da rasatura colorato con ossidi, per poi dopo l'avvenuta presa dello stucco,  si passava a ripulire l'oggetto con il decapante neutro e la successiva disattivazione del decapante tramite essenza di trementina. 
La sedia sia nelle cartelle  e nelle foglie intagliate dei montanti, che ornavano il manufatto avevano un doratura a conchiglia. Quindi si doveva passare anche nel laboratorio di doratura dalla Prof.ssa. Lelia Riguccini per imparare questo tipo di tecnica.
La preparazione  consisteva nel preparare in un piccolo recipiente contenente un mezzo bicchiere di acqua e 6 grammi gomma arabica  riscaldati, sempre a bagnomaria. Si prendeva polvere di oro zecchino e si mischiava con il legante formando una composto omogeneo, che veniva posto con un pennello nelle parti da decorare con la doratura. Questa tecnica, nel caso di questa sedia, fu  usata direttamente sul legno senza preparazione di ammanitura.
Finite le operazioni descritte si passava alla fase finale, che riguardava la lucidatura, con passaggi di cera leggermente riscaldata e stesa nel mobile, per poi dopo qualche ora ad avvenuta asciugatura, essere lucidata con uno straccio di lana.

La disciplina dell'intaglio.
La disciplina dell'intaglio.

Il laboratorio che mi appassionava di più era quello dell'intaglio. Nelle ore di laboratorio nel  primo anno dell'istituto, non conoscendo minimamente la tecnica dell'intaglio, presi dalla cesta delle legne un pezzo di legno, che serviva a quei tempi per la stufa a legna, che riscaldava gli ambienti della scuola. Mi venne l'idea di fare un mascherone intagliato, il professore vide la mia voglia di  far uscire dal ciocco di legno una specie di forma, che avevo disegnato e di quello che avevo in mente di intagliare . 


il mio primo lavoro da intagliatore


L'insegnante mi fece vedere come si intagliava e scolpì una metà del "tizzone",
il resto lo fece fare a me annaspando e lottando con il pezzo di legno, che comunque fu finito dopo alcune lezioni.

Un'altra esperienza scolastica fu la realizzazione di una applique intagliata. Il laboratorio dell'Istituto era abbastanza attrezzato. Da una parte dei locali c'era una macchina, che non veniva mai usata, la scolpitrice o come si chiamava noi, il pantografo. In sostanza era un copiatore che "ricalcava"una forma e azionava delle frese che ricopiavano il modello in legno. Si decise di copiare questa applique  e se ne fecero tre, quante erano le frese della scolpitrice. Dopo l'avvenuta sbozzatura con la macchina, si prese insieme con altri compagni della mia classe l'incarico per la ripulitura e finitura della specchierina.
L'intaglio è una brutta bestia, lezioni su lezioni ma il risultato era veramente disastroso e molti compagni, presi dallo sconforto, glissavano sul lavoro da eseguire, e francamente anch'io non ero da meno. Quindi le specchierine rimanevano li, incompiute attaccate al muro dell'aula di intaglio.
Dopo l'esami del  terzo anno di scuola dove ci riconoscevano Maestri d'Arte,  mi invitò l'allora supplente di plastica Gianfranco Giorni nella sua stanza, dove praticava l'attività di intagliatore. Mi mise in mano i ferri del mestiere e imparai nel periodo estivo l'intaglio. 
Alla riapertura della scuola dopo le vacanze estive, mi accorsi dei notevoli progressi e quanto era importante lavorare per otto ore consecutive senza alzare la testa dal banco di lavoro.
Ripresi il lavoro incompiuto delle applique e in una lezione di due ore, ultimai il lavoro che prima dell'esperienza estiva, in diverse ore di lezione facevo solo danni alla povera specchiera. 



Si sparse la voce nel piccolo paese, che sapevo intagliare e qualche artigiano mi commissionava qualche intaglio.
 Mio zio Gnaso nella sua bottega
Mio zio “Gnaso”  Giuseppe Del Sere, mi disse di fare un piccolo lavoretto su una poltrona intagliata, che gliela aveva commissionata per il restauro, la galleria di Antiquariato Milton Poggini. L'intaglio venne eseguito e chiesi a mio zio di tenermi  in bottega per imparare il restauro del mobile.
Mi tenne per sei mesi e poi mi rispedì nel mio fondo adibito a bottega. In questo breve periodo imparai molte cose sul restauro del mobile, dalla lucidatura a tampone, che non veniva praticata nella scuola, i vari sistemi di invecchiamento e molte tecniche relative al restauro estetico del mobile compreso anche qualche realizzazione di "falsi d'autore".










Fabio nella prima bottega capanno. 
Questa esperienza la condivisi con un mio compagno di scuola Fabio Boriosi e  si provò ad aprire bottega in affitto a Sansepolcro, dove c'era un rigattiere, che ci dava da rimettere a posto qualche mobile. La bottega in Sansepolcro durò poco e si decise di ritornare nel mio fondo di Anghiari, si comprarono qualche macchina da lavoro e si incominciò a fare qualche restauro, per privati e commercianti del posto. Oltre a quel poco lavoro che ci capitava, perché s'era alle prime armi, si comprava qualche mobile da rimettere a posto, per poi provare a venderlo. 















Un giorno ci capitò di comperare, a poco prezzo, un tavolo di campagna in legno di noce, con le gambe a spillo tipico del periodo neoclassico. Mi ritornò subito in mente il periodo che trascorsi nel fondo adibito a laboratorio di mio zio Gnaso, dove vidi alcune trasformazioni di tavoli usati originariamente per la cucina, costruiti con legni da frutto, principalmente noce e ciliegio. 
Questi mobili, chiaramente per l'uso che ne facevano, erano lisci e senza decorazioni. 


I mercanti antiquari, avevano una raffinatezza e una visone finalizzata alla vendita dell'oggetto. Ordinavano e  davano all’artigiano dei suggerimenti per dare  un aspetto più importante al mobile .
Venivano realizzate delle"strozzature" o "cravatte" nella parte alta delle gambe, tipica  decorazione dello stile neoclassico, Luigi XVI°; il piano veniva modanato a becco di civetta, e infine intarsiato con filettature che riquadravano la struttura  del tavolo.  

La conclusione dell'intervento era l'intarsio centrale nel tavolo che mio zio eseguiva con una sega con lama fine che chiamava girello. Generalmente la decorazione intarsiata rappresentava due uccelli posti simmetricamente nella parte del centrale del piano oppure una stella o disegni ripresi da grottesche. 

Queste incrostazioni eseguite da mio zio erano a dir poco grossolane; a scuola ci facevano usare il traforo e avevamo avuto qualche nozione di disegno, cosa che mio zio ignorava non avendo avuto nessuna formazione artistica.
Con il mio amico Fabio si realizzò insieme il tavolo, io per la struttura, il mio amico per la decorazione ad intarsio, visto che era più bravo di me per compiere questa tecnica, che io non  presi molto in considerazione nel periodo scolastico. 
Il tavolo  diventò uno scrittoio. Dopo alcune trattative si riuscì a venderlo ad un signore di Sanseplocro.
Dopo alcuni anni passando da un collega artigiano, per caso nella sua bottega ritrovai il mobile, che doveva essere ripreso per la lucidatura. Feci la domanda all'esperto artigiano, da dove provenisse e se il mobile aveva delle incongruenze, l'artigiano mi confermò che non trovava alterazioni e il mobile era buono. Fu per me una conferma sugli insegnamenti di mio zio, sulle tecniche d'invecchiamento dei mobili, che venivano scambiati per antichi. 






La scoperta dell'intarsio

Visto le difficoltà che  si incontravano, per il  poco guadagno a mantenere e aprire una  piccola attività, per nuovi futuri artigiani alle prime armi, provai a mettermi in graduatoria facendo domanda per le supplenze agli Istituti d'Arte locali per l'insegnamento di intaglio, intarsio ed ebanisteria. Sporadicamente mi chiamavano alla scuola d'Arte di Sansepolcro per piccole supplenze di laboratorio di ebanisteria, dove venivano costruiti modellini per la sezione di arredamento. Ma il colpo di fortuna arrivò inaspettatamente, quando mi nominarono direttamente dal Provveditorato, insegnante a cattedra del laboratorio di intarsio nella mia Scuola D'Arte di Anghiari. 



Copia filologica di un fianco di cassa nuziale
certosina  XV secolo.
La mia "specializzazione" era l'intaglio, ma non ero proprio digiuno sulle tecniche della tarsia apprese durante il periodo da studente. Mi trovai ad insegnare qualcosa per cui non ero adeguatamente preparato. Mi misi a studiare e con il supporto di qualche libro, interpellando anche mio zio e osservando gli artigiani del posto, ebbi alcune informazioni valide per trasmettere questa tecnica ai ragazzi. Scoprì, durante il periodo da docente e successivamente dopo la fine dell'esperienza forzata da insegnante, la motivazione di studiare da autodidatta, specializzandomi in questa tecnica, che mi appassionò e  caratterizza maggiormente la mia bottega .

Elaborati eseguiti dagli allievi dell’Istituto Statale
 d’Arte di Anghiari,
durante le lezioni da me impartite 
come docente del laboratorio d’intarsio. 




Per una serie di circostanze "sfortunate" per l'insegnamento, decisi di metterlo da parte  e di aprire bottega con il nome di Mastro Santi Del Sere, uno dei pochi artigiani a conoscere e praticare tutte le tecniche: dall'intaglio, all'intarsio alla laccatura e doratura alla costruzione del mobile e al restauro del mobile antico.

I primi insegnamenti sulla teoria del restauro

Nel primo approccio al restauro della poltrona intagliata, durante il primo anno superiore, già ci veniva "insegnato" la teoria del restauro scientifico, che francamente non capivo a fondo.

Insegnare  la teoria del restauro, a ragazzini di quindici anni, che frequentavano i primi anni di scuola, è  prematuro ed è improponibile, anche perché molti non avevano intenzione, a quel tempo, come il sottoscritto, di diventare restauratore. 
Durante le lezioni di restauro ci insegnavano come effettuare un intervento chiamato scientifico, che riguardava la conservazione come azione critica preoccupati di dare dei canoni, più corretti possibili, da applicare ad un intervento di restauro; con l'intento di far leggere qualsiasi azione reintegrativa apportata ad un'opera per non incorrere nel falso storico.


Bancone da amanuense restaurato I.S.A
conservato al Museo Taglieschi
Frequentavo Il secondo anno della scuola d'Arte mi capitò durante le lezioni di laboratorio di restaurare un tavolo neoclassico, mancante di due gambe a forma piramidale tipiche del periodo Luigi XVI°. Ci furono diversi punti di vista da parte dell'insegnante di come ricostruire le due gambe mancanti. Io nella mia ignoranza delle prime armi credevo cosa giusta, che fossero ricostruite uguali a quelle originali che avevamo a disposizione nel tavolo, qualche insegnante per non correre il pericolo del falso le voleva fare in plexiglas, o in legno diverso per far capire le parti ricostruite.  Questa teoria appresa durante gli anni scolastici si scontrò inevitabilmente quando dovetti lavorare per privati e Antiquari, che privilegiano  un restauro estetico, per motivi sia commerciali o di arredamento privato, che non era compatibile, per un restauro di un mobile che doveva rappresentare una abitazione e il suo proprietario e la funzione del valore d'uso. 
Per i commercianti il valore sta, nella sua conservazione autentica, quindi il restauro meno si vede e meglio e il mobile assume un valore maggiore, con un restauro fatto a regola d'arte, ed è più vendibile a un buon prezzo. 
La scuola non ti insegna come mimetizzare una nuova  reintegrazione su un oggetto antico senza rincorrere al falso storico,  ma mio zio Gnaso, operando per antiquari, mi aveva insegnato qualche tecnica di invecchiamento e sistemi per un restauro di uso ed estetico.
I primi restauri commissionati da  commercianti locali, furono su oggetti, come: cassettoni, madie, vetrinette e sedie, non di particolare interesse storico, ma comuni manufatti di ordinaria amministrazione. 

Il primo restauro di una cassettone

Come aprì bottega mi dovetti subito confrontarmi con la realtà. 
La mia bottega è di fronte al panorama di Anghiari e la mia vetrina,  accanto al laboratorio dove espongo le mie lavorazioni, è un bel biglietto da visita. 

Un giorno si fermarono dei signori antiquari di Napoli, videro i restauri e gli intarsi che facevo in bottega. Mi  proposero di restaurare un mobile che avevano trovato nella campagna partenopea. Mi dissero che era rovinato e mi chiesero un preventivo, che se era di loro gradimento, me lo avrebbero portato per il restauro.


Dopo alcuni giorni, ritornarono e mi portarono una specie di cassa di legno che i contadini avevano trasformato in una gabbia per conigli. Visto il mobile mi resi conto delle difficoltà  e anche del preventivo alquanto basso, ma ero alle prime armi.  Decisi comunque di mettermi in gioco, mi avrebbero pagato un po' alla volta in contanti. 
Ma a parte l'aspetto venale, ho sempre avuto una mia filosofia di bottega, che consiste nel piacere di lavorare su oggetti che ti danno soddisfazione; è vero che si guadagna più a restaurare una persiana o una porta, ma vuoi mettere la soddisfazione di far rivivere restaurando un mobile, che sicuramente sarebbe stato bruciato in un camino per scaldarsi nelle lunghe giornate d'inverno? 
Cominciai il lavoro di restauro della struttura del mobile.
Gli insegnamenti scolastici pratici, non erano per niente sufficienti , chiesi a mio zio qualche dritta, ma non mi dette un grande aiuto per la presunta ricostruzione di come poteva essere originalmente il cassettone. 




Ripresi il metodo che mi avevano impartito a scuola, che si basava su una ricerca dei mobili di quell'epoca e della loro area geografica di provenienza.  Su qualche libro di antiquariato trovai dei mobili, dello stesso periodo, del settecento napoletano che si somigliavano per stile e costruzione. 

Le confrontai con lo scheletro del "cassettone" da restaurare e riscontrai  che gli alloggi degli incastri nelle gambe, riconducevano ad una ipotetica quasi certa riconduzione dell'aspetto originale. Dopo essermi fatto un'idea , di che legno era costruito il mobile, con l’ ossatura in legno di pioppo, intarsiato con legni di noce e bois de rose,  cominciai la ricostruzione del manufatto utilizzando gli elementi originali con cui era stato rimaneggiato.

Infatti  rinvenni che  i fianchi dei cassetti,  erano stati adoperati per chiudere la parte posteriore del cassone. 
I fianchi che tolsi dalla struttura, mi dettero la riprova, confrontandoli con gli incastri delle gambe dove erano ancorate le catene, confermando le dimensioni originali dei cassetti.  Ricostruii le gambe e le parti completamente mancanti,  con legno di stessa essenza, riconsolidamento  dei piallacci originali e reintegrazione delle parti mancanti e degli intarsi. Prima di procedere alla lucidatura consultai i committenti, sapevo che doveva essere fatta a gomma lacca stesa a tampone, ma per rispettare gli insegnamenti di scuola volli lasciare le parti reintegrate a vista, come si faceva per il restauro scientifico. 

Gli Antiquari cominciarono a storcere il naso, non era appropriato questo tipo di restauro, quindi mi invitarono a invecchiare tutte le parti reintegrate. Francamente non gli potevo dargli torto, non era vendibile un mobile tipo arlecchino, anche se aveva il suo fascino. Lo invecchiai e riscossi la modica somma pattuita.

fine prima puntata


 


Nessun commento:

Posta un commento